Il M5S ha reso migliore la società?


E' vero che ha distrutto la vecchia politica, senza inaugurarne una nuova. Ma ha avuto un impatto fortissimo sulle nostre forme di vita. Piuttosto che nel politico, il movimento di Grillo è confluito nel privato. 

di Luigi Furno



Sì, è vero che a nove anni di distanza dalla nascita del Movimento 5 Stelle sono arrivati il populismo e l’antipolitica . È vero che è addirittura possibile titolare un libro “Berlusconi o il cinquestellismo realizzato”, come ha fatto il compianto Mario Perniola. Ma è una formula che non tiene dentro tutto ciò che il M5S è. E rende troppo lineare un percorso assai più accidentato, contraddittorio, ineguale. I passaggi storici non sono mai determinati da un’unica causa o riconducibili a una stessa origine. E quell’origine contiene in serbo elementi contrastanti, segmenti divergenti, potenzialità irrealizzate. Ciò accade sempre, ma in quella data fatidica, 2009, che sembra spezzare in due la politica italiana, ancora di più. Intanto perché il M5S non è stato uno solo. Sia nel senso che lo si può guardare in maniere diverse e opposte. Sia nel senso che in quella scatola ci sono pezzi di differente forma e dimensione. Perché il M5S dei meetup pre 2009 non è quello del dopo 2009 e questo non è quello del movimento di massa di oggi. Solo lo sguardo dello storico, o del narratore, riconduce a un medesimo nome fenomenologie irriducibili a un unico senso.

Del resto la stessa cronologia è incerta. O meglio dipende dal luogo e dal punto di vista. Per esempio in Italia il M5S ha iniziato un suo reale funzionamento solo con l’elezione di Virginia Raggi a Sindaco di Roma, caricandolo di responsabilità troppo pesanti da sopportare. Poi, tutto quello che è accaduto dopo è un’altra storia. Che il movimento non ha saputo prevedere né arrestare, ma che certo non discende direttamente da quel grido di libertà che ha scosso il mondo politico attuale. Delle origini oggi resta assai poco. O, peggio, è confluito in un neodogmatismo opaco e oppressivo. Ma non perché questa fosse l’unica direzione che la protesta cinquestellista potesse prendere. Semmai perché non ha saputo imboccarne un’altra. Almeno nessuna direzione politicamente effettuale. Come dice Mario Tronti, il Moviemento cinque Stelle non ha avuto una potenza costituente, ma solo destituente. Ha disattivato una serie di dispositivi autoritari, senza attivare progetti politici credibili. Ha fallito l’incontro, solo per un attimo intravisto, con la democrazia diretta. Ha lavorato contro l’autorità, non contro il potere. Senza pensare che l’autorità è un ingrediente indispensabile alla legittimazione di ogni politica come, dopo Hannah Arendt, hanno compreso le femministe italiane. Ma che anche il potere è ineliminabile, non sopporta il vuoto. Può variare il modo di esercitarlo, ma non essere abolito per decreto.

Questo il vero punto di caduta - di ripiegamento su se stesso - del M5S. L’incapacità di misurarsi col politico - vale a dire con l’identificazione chiara dell’avversario e con una scelta, altrettanto chiara, delle alleanze. Piuttosto che nel politico, il M5S è confluito nel sociale e nel privato. Con risultati, certo, largamente positivi, che hanno cambiato per sempre la mentalità, le idee, i gusti di milioni di donne e di uomini. Senza però modificare la struttura di fondo, lo scheletro delle società italiana. Anzi i fallimenti, le forzature ideologiche, le involuzioni del movimento hanno prodotto la svolta restauratrice dei conservatori classici, a partire dalla Trump per finire al neo-risorto Berlusconi. Avvenuta in nome dell’esaltazione del Popolo.

In Italia, con il M5S, le cose sono andate addirittura peggio, quando schegge impazzite di movimento hanno scelto di scendere nell’agone politico facendosi votare. È stata l’altra conseguenza suicida del mancato aggancio alla politica: da un lato la spoliticizzazione nel privato, dall’altro l’iperpoliticismo dal basso, fuori tempo e fuori luogo, di una rivoluzione impossibile.

Dunque un Movimento cinque Stelle doppio, o sdoppiato in due vettori che stentiamo a ricomporre in un giudizio unitario. Da una parte il primo movimento politico non partitico della storia contemporanea – forse della storia. La protesta che reclamava la fine dei politici, della segregazione dei partiti, il ritorno ad una partecipazione diretta e passionale alla politica. La spallata decisiva a un vecchio modo di pensare ed agire. È difficile sottovalutare l’impatto del M5S sulle forme di agire dell’opinione pubblica. Sul modo di intendere il rapporto con gli altri e con noi stessi - quelli che oggi si chiamano “processi di soggettivazione”. Come dimenticare che tra politica e vita non c’erano reali canali di transito. Ma la fine del vecchio mondo, in tutto l’Occidente, non ne inaugurava uno nuovo. In questo senso ha ragione chi vede nel M5S più l’esaurimento di qualcosa che la nascita di un’altra.

Per esempio, sul piano delle idee, nonostante Rousseau, Grillo e Casaleggio dipinti su tutte le bandiere, esso certificava la fine di un puro post-ideologismo. Come anche dell’opinione pubblica, almeno nel senso che siamo abituati ad attribuire a questo termine. La partecipazione generale prevista da Grillo/Casaleggio con la fine dei partiti politici appare chiaramente contraddetta dall’”imborghesimento” degli eletti pronti all’integrazione nel sistema parlamentare.

Sul piano della filosofia questa crisi della politica - ridotta da un lato a sociologia e dall’altro a etica - è evidente. Di Maio, attaccato dalla base del movimento, è superato da Salvini. Ciò che, più in generale, ha segnato la cultura nata dal M5S è stato il rapido slittamento dalla negazione di ogni cosa - dell’autorità, delle istituzioni, della democrazia - a un’affermazione altrettanto indeterminata. Dalla critica di tutto al “vogliamo tutto”, senza passaggi intermedi. Non si è saputo aprire un confronto articolato con il “negativo”, con le sue diverse grammatiche.

Così dal “vaffanculo” di Grillo sono slittate nell’imperativo egoistico della difesa dell’orticello ad ogni costo del narcisismo imperante. Nato contraddittoriamente da un movimento di gente qualunque, l’individualismo si è a sua volta qualunquistizzato, diventando nuovo conformismo, come ha precocemente visto Umberto Eco. In questo modo, a nove anni dalla stagione che intendeva realizzare finalmente la democrazia diretta, si è generato l’attuale rifiuto della politica. Come a volte accade nella storia, si è ottenuto il contrario di quel che si voleva - anziché politicizzare il privato si è privatizzata la politica.



Il pezzo, a dimostrazione della retorica nuovista del M5S, è in verità una parodia, si limita semplicemente a cambiare il soggetto, di un articolo di Roberto Esposito sull'eredita del '68 apparso sull'Espresso (clicca qui per leggere l'originale). Come si può notare l'analisi del filosofo napoletano, pur traslandola dalle rivolte studentesche di fine anni sessanta al contesto politico attuale e al Movimento cinque Stelle, mantiene tutta la sua pregnanza e la sua efficacia. 

Nessun commento:

Posta un commento