Edipo, Telemaco, Abramo, Amleto, Karamazov, Bartleby e un unico grande nemico: il Padre



Umberto Curi delinea i modi per diventare maggiorenne

di Luigi Furno

Il professore Curi ha scelto di “rovinare” la forma, dando alla struttura la stessa importanza del contenuto. “Non mi piacciono le conferenze: non mi piacciono quelle degli altri e non mi piacciono le mie conferenze. E non mi piacciono soprattutto per la forma della comunicazione, in cui uno parla e gli altri, nel migliore dei casi, si limitano ad ascoltare”. Con queste parole Umberto Curi ha dato inizio alla sua “lectio non-lectio” magistralis per l’ultimo incontro del festival Stregati da Sophia.

Umberto Curi, in appendice al suo libro “La porta stretta. Come diventare maggiorenni”, utilizza il riferimento a una “porta stretta” – “Combattere per entrare per la porta stretta”, verso ermetico del Vangelo di Luca – come metafora di un percorso segnato da un’indelebile impronta agonistica. Ghénomenos en agonía, nella versione greca dei Settanta, non significa, come spesso viene tradotto per superficialità, “in preda all’angoscia”, perché è immotivato e impossibile cancellare il significato intransitivamente bellico di quell’agόn. Quello che accade, infatti, al Getsemani non va letto solo come un ripiegarsi, un ecclissarsi – fiat voluntas tua – in senso di obbedienza, ma è, fino alla fine, strenua lotta, armata difesa, “cum-battimento”. Il paradosso di questo ragionamento del professor Curi, fa dell’immagine di Cristo, comunemente intesa come il figlio che si rimette alla volontà del Padre, un passionale conflitto con l'autorità, l’accostamento in contro-luce con la figura simbolica di Edipo. In entrambi le figure, siamo in presenza di un “passaggio” – alla lettera: la trans-izione. Il passaggio, inevitabilmente, comporta un movimento, un sovvertire la stasi e l’estasi, e dunque un rinviare ad una decisione, che è sempre priva di ogni certezza e sempre carica di dolore. «Il mutamento», afferma Curi, «soprattutto quando esso sia in rapporto con la salvezza, da un lato presuppone il coraggio di affrontare una battaglia, mentre dall’altro porta con sé sofferenze fisiche e morali». 

Sfruttando la tumefatta metafora evangelica, si arriva ad passaggio stretto che ognuno, in numerosi e ripetuti momenti della vita, è chiamato ad attraversare: la porta della maturità è stretta, perché, comunque si scelga, i brandelli della carne vi rimangono impigliati, sia nel braccio di ferro con il padre, sia nell’accettazione dell’«eccomi» alla volontà del padre, sia nel «preferirei di no». Il dato che emerge è che nessuno di noi si è dato a se stesso, ma è posto nel mondo per una volontà non sua, alla quale può ribellarsi, con il grido di molti personaggi della letteratura: «meglio non esser mai nati» (tema già sviscerato dall’autore in un altro libro). Ma per chi accetta la condizione di «dipendenza» alla e nella vita, la maturità è trauma imposto: siamo costretti a maturare, ad affrontare la porta stretta, come il personaggio del racconto di Kafka che invecchia davanti a quella porta, senza mai riuscire a varcarla. Maturare è comunque un faticoso e necessario “uscire” dalle proprie ristrettezze e dipendenze idolatriche, rimanendo in bilico e quindi in tensione tra la visione parziale della minorità e l’accecamento prodotto dalla nuova condizione, perché è proprio della condizione umana «in qualunque epoca, in ogni fase della nostra vita, avere accesso non al chiarore splendente di una luce senza ombre, ma soltanto al chiaroscuro di una visione comunque limitata e imperfetta».
Costitutivamente agonistico, in barba di un certo filone orizzontale e partecipativo della pedagogia, è quindi il passaggio che conduce alla fuoriuscita dalla minorità. «Ciò a cui, presto o tardi in qualche fase della vita, si è posti di fronte, è la necessita di una scelta, non limitata ad ambiti circoscritti, ma tale da coinvolgere totalmente noi stessi, la nostra stessa più profonda identità».

Curi spinge per un’interpretazione delle età della vita non come processo lineare e progressivo: la maturità si acquisisce nel moto, nelle fughe in avanti, acquisizioni, ma nello stesso tempo passi indietro, regressioni. Bi-direzione del processo, allora. Il concreto vivente abita gli stadi della vita, centrati su specifiche forme da sviluppare, contemporaneamente e a cerchi concentrici: l’uomo non è essere lineare, ma polare, al limite estremo, bipolare. Oscilla in stato di continua tensione tra il polo dell’autonomia raggiunta, attraverso qualsiasi forma di parricidio, simbolico o reale, e il polo dell’obbedienza, cioè quella pienezza raggiunta obbedendo (ob-audire: ascoltare e far proprio) al discorso paterno.

Il paradigma giudaico-cristiano, con i suoi santi al seguito della figura di Cristo, che svuota se stesso nel dono di sé e, obbedendo al Padre, raggiunge la pienezza della sua missione e invita i suoi a fare altrettanto, senza che questo significhi inerzia, remissività, deroga: «Mi svuoto non per restare minorenne a vita, ma perché è quella la strada attraverso la quale potrò conseguire una maturità autentica, comunque sottratta alla precarietà o all’inefficacia di una autoaffermazione che implichi l’uccisione del padre. Pur innegabile e ineliminabile, l’aspetto della “sottrazione” o della “rinuncia” non è affatto quello che più adeguatamente può esprimerne la peculiarità. Nettamente predominante è semmai un carattere opposto, nel senso del massimo potenziamento, dell’acquisizione piuttosto che della perdita, della vittoria anziché della sconfitta, dove il «vuoto» è in funzione di un “pieno” più autentico e “compiuto”».




Curi richiama la storia di Abramo e Isacco, ripresa da Kierkegaard in “Timore e tremore”, per esemplificare l’irrazionalità della fede e dell’obbedienza al padre.

All’altro capo della diade, spiega Curi, ci sono i personaggi e filosofi che hanno identificano la maturità con la presa di posizione del figlio contro il padre e i suoi insegnamenti: Edipo, i Karamazov, Kant e il suo concetto di «rischiaramento», Freud ecc. Nel punto d’incontro delle strade che si intrecciano per andare e tornare dal santuario di Apollo a Delfi, è la seconda storia che ha scelto di raccontare il professore, si compie il destino tragico di Edipo. A chi gli intima di cedere il passo nella strettoia del crocicchio, facendo leva sull’autorità regale e sul rispetto dovuto all’età avanzata, il figlio di Laio risponde, fintamente ingenuo, portando l’attacco mortale al padre. Questa scena, simbolicamente, è rirappresentata nello splendido film di Emma Dante “Via Castellana Bandiera”. All’interrogativo su come si possa realizzare il cambiamento di stato, il raggiungimento della maturità, il mondo classico risponde additando la strada del parricidio. In gioco qui è la definizione stessa di un percorso di evoluzione, e all’interno di esso il superamento di un inciampo in grado di produrre un deragliamento dai binari imboccati. «Lo Straniero di Elea e d Edipo hanno scelto di diventare maggiorenni- non accettando una subalternità legata alla prepotenza di una figura paterna». Dall’ermeneutica di questa storia prende inizio la mitica avventura del concetto di complesso di Edipo.

Questo passaggio attraverso il corpo vivente del padre è centrale anche in un'altra figura importante della storia occidentale: Amleto. In Amleto, l’uccisione reale del padre, però, sembra non avere effetti concreti sull’uccisione simbolica. I vasi non riescono più ad essere comunicanti come in Edipo. L’uccisione non ha nessun effetto automatico liberatorio, non promuove più alla maturità. Amleto resta paralizza in un eterno essere rimandato a settembre. L’edipico diventa patologico e quindi complesso. Il parricidio porta con sé un contraccolpo, che incide specificatamente sul progetto della fuoriuscita dalla minorità, lo condiziona e lo depotenzia, fino al punto di disattivarlo. «Amleto non riesce a rispondere alle domande cruciali che egli stesso si pone non per limiti soggettivi, ma per l’intrinseca irresolubilità della cosa stessa, non perché egli non sappia decidere, ma perché non vi è una soluzione univoca a cui sia possibile accedere».

Amleto scopre a sue spese una aporia al centro del funzionamento simbolico della psiche, e cioè: per diventare maggiorenni non solo il parricidio non basta ma, cosa ancora più drammatica, esso si rivela alla fine impossibile, tanto quando è irrealizzabile un ‘opzione univoca nella apparente alternativa tra essere o non essere. Siamo, ormai, al successo professionale del psicoanalista e del suo campo di azione. Questo destino e condiviso anche da Dmitrij Karamazov, protagonista del romanzo dostoevskijano, in cui l’uccisione del padre non vale per affrancare e diventare maturi.

Al cuore dell’esperienza contemporanea si delinea, però, la percezione di una lacerazione nei rapporti tra generazioni, qualitativamente diversa dai conflitti e dalle “incomunicabilità” che pure hanno segnato in passato il rapporto tra giovani e adulti: si prefigura invece una vera e propria interruzione nella trasmissione sociale. Si è peraltro di fronte a generazioni i cui confini sono mobili e inediti, perché le “età della vita” sono cambiate rispetto alla concezione classica.

Per dare senso a queste nuove esigenze, la modernità contemporanea ha dato vita a due possibili risposte all’aporia del padre – aporia nel senso derridiano d’impossibilità del passaggio -: Bartleby e Telemaco.

Bartleby, lo scrivano di del racconto omonimo di Melville, chiamato a superare la sua minorità, si sottrae: «avrebbe preferenza di no» e rimanere il semplice «copista» che è sempre stato, anche se proprio questo rifiuto o astensione lo porterà alla rovina. Bartleby sa che, propendendo per l’uno o l’altro polo, accetterebbe la vita come lotta che il singolo è costretto ad affrontare, un agόn a cui non ci si può sottrarre. Egli risponde rifiutando il ruolo di prot-agonista, di primo lottatore, con una terza via, marginale: «A chi ci incalza per farci diventare maggiorenni, e dunque vorrebbe spingerci all’obbedienza o costringerci al parricidio, ha dimostrato che si può rispondere “preferirei di no”».



Telemaco è una figura simbolica riproposta dallo psicanalista massimo Recalcati. Telemaco, il figlio di Ulisse, attende il ritorno del padre; prega affinché sia ristabilita nella sua casa invasa dai Proci la Legge della parola. Il complesso di Telemaco, teorizzato da Recalcati, è una richiesta di riempimento del vuoto causato dalla lacaniana evaporazione del padre. Una risposta psichica alla crisi della figura dei padri reali nell’esercizio della loro autorità e, riconosciuta l’aporia del passaggio attraverso il parricidio (complesso di Edipo), la ricerca di una funzione orientativa dell’ideale nella vita individuale e collettiva.

Curi, con il gusto per l’archeologia – come ricerca dell’origine e del principio ordinante – della parola, e con ragionamento serrato, che progredisce sia linearmente, sia a spirale attorno alcuni punti più complessi, scendendo ad ogni passaggio più in profondità, ci conduce in un viaggio culturale appassionante e impegnativo, per farci scoprire, a scanso di semplificazioni e formule approssimative, che «la maggiore età non è l’incrollabile punto di arrivo del viaggio, non coincide con uno stato acquisito una volta per tutte. Ma che la nostra vita è, nel suo insieme, caratterizzata da un polemos inesauribile, dal quale non si esce mai definitivamente vincitori una volta per tutte».

«Secondo Kant», conclude il professore, «la conquista della maggiore età può essere conseguita combinando la conoscenza e il coraggio – tema portante di tutto il festival di filosofia - , rilanciando l’imperativo oraziano del sapere aude».



«Da tutto ciò consegue che la libertà», che in sintesi è la desiderata nella ricerca della maggiore età, «non coincide con una condizione pacificata, con l’estetica e solitaria contemplazione della verità da parte di un singolo privilegiato che sia riuscito a sciogliersi dalle catene, e dunque goda di questa straordinaria opportunità. Al contrario, come ha sottolineato Martin Heidegger, per poter essere veramente libero, colui che si sia sciolto dalle catene dovrà ritornare nella caverna – a quel punto, senza più alcuna prospettiva di uscirne – e dovrà contendere con coloro che in essa sono rimasti, anche a rischio della propria incolumità e della stessa vita. Libertà si indentifica dunque non nel soggiorno all’aperto, ma con l’essere costretti al fondo della dimora sotterranea, in un incessante conflitto dall’esito mai garantito».

La fuoriuscita dalla minorita dunque non si identifica col punto di arrivo di un percorso lineare e cumulativo, si è accennato alla bipolarità del percorso, ma è piuttosto quel terreno di scontro in cui si è costantemente chiamati a mettere alla prova le proprie capacità e il proprio valore. È un agone che, come in tutte le battaglie, il “coraggio” acquista una valenza enorme. Il coraggio, appunto, che è stato il tema della seconda edizione di Stregati da Sophia.


Illustrazioni di Oscar Sabini

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IL CONTENUTO

«La porta stretta». Di lì dovrà passare, secondo il Vangelo di Luca, chi voglia accedere al regno dei cieli. Un varco intransitabile, se non si è disposti a impegnare ogni forza in una lotta pericolosa e dall’esito mai scontato: «molti cercheranno di entrare, ma non vi riusciranno». L’immagine evangelica è perfetta anche per raffigurare un passaggio universale della condizione umana, la fuoriuscita dalla minorità. Dolore, coraggio, decisione, necessità e conflitto contrassegnano nel pensiero occidentale l’impresa di diventare maggiorenni. Tuttavia, una volta intrapreso, il processo di emancipazione non si esaurirà nella compiutezza di uno stato finalmente raggiunto. Adulti si ridiventa sempre di nuovo. Di questo carattere processuale, agonistico e decisorio Umberto Curi rintraccia le massime espressioni filosofiche, religiose e letterarie – da Platone a Dostoevskij, dalla Bibbia a Shakespeare – e le lascia libere di testimoniare ciò che rimaneva inascoltato nelle loro esegesi abituali. Così il congedo dalla sudditanza, oltre che nell’appello di Kant all’indocilità ragionata poi irrisa da Hegel, si vedrà declinato in posture «filiali» antitetiche, combattenti o inermi: nel parricidio consumato dell’Edipo re sofocleo, in quello metaforico del Sofista platonico o in quello depotenziato di Amleto, ma anche, sorprendentemente, nell’obbedienza di Abramo, che sta eretto di fronte al Signore, o del Cristo, che si lascia abitare dalla volontà del Padre. E non meno significativi della logica binaria di ribellione e obbedienza, su cui si regola il transito canonico alla maggiore età, si riveleranno i suoi tracolli e le sue ostruzioni. Tra la via edipica e la devozione biblica, rintocca la quieta intransigenza del Bartleby di Melville, che si sottrae a ogni imperativo con la mossa del cavallo: «Preferirei di no».


L'AUTORE

Umberto Curi è professore emerito di Storia della filosofia presso l’Università di Padova. Tra i suoi libri più recenti: Miti d’amore. Filosofia dell’eros (2009), L’immagine-pensiero. Tra Fellini, Wilder e Wenders: un viaggio filosofico (2009), Straniero (2010, premio Frascati per la filosofia), Passione (2013), Prolegomeni per una popsophia (2013) ed Endiadi. Figure della duplicità (2015). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato: «Pólemos». Filosofia come guerra (2000), La forza dello sguardo (2004), Meglio non essere nati. La condizione umana fra Eschilo e Nietzsche (2008, premio Capalbio per la filosofia), Via di qua. Imparare a morire (2011) e L’apparire del bello. Nascita di un’idea (2013).



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