Colori di garza












































di Ursula Iannone

A mio padre, di pittura intinto

Ho osservato per anni le sue mani. Mi capita di confondere le mani col pennello. La velocità pazzesca, la precisione infallibile, la mescolanza asciutta e giustissima dei colori, esaltano la mia anima e incantano i miei occhi. Provo per questi gesti perfetti un’attrazione irresistibile.
Ho visto le sue mani afferrare i carboncini, piegare i tubetti, impugnare spatole, versare acqua, puntare tele, stringere pennelli, posare stracci, cercare un colore e sceglierne un altro, e un altro ancora.
I colori si sono appoggiati alle nostre vite e lì sono rimasti. I colori di mio padre sono colori di garza. Pasta compatta e vellutata. Medicamento dei mali dell’anima.


Sin dall’inizio, dagli anni ’60, sin dalle prime e postume frequentazioni napoletane anni ’70 di artisti in lotta per la scelta semantica più avanguardistica, più manifestamente criptica, dirompente e discontinua, fino al successivo valzer di crisi e de-generazioni comunicative ed espressive, Carmine Iannone sceglie sopra tutto la pittura e ne manifesta lo spirito costruttivo e animale attraverso il suo disinvolto linguaggio, tecnico quanto formale. Sceglie paradossalmente la strada estrema, di certo la più radicale per rendersi visibile, quella controtendente negli anni in cui il rigetto del figurativo tout-court è sufficiente a indicare un’azione critica nei confronti di qualunque passato e l’unica salvezza dal fallimento, che diventa troppo spesso un inconsistente luogo comune.

Concretizza le sue ragioni, eleva a drammatico verbo espressivo i contenuti interiori, soggettivisti, traduce la storia, la realtà, le istantanee, il mito, la società, e gli oggetti, gli animali, le maternità, in una fragilissima dimensione in bilico tra il vuoto assoluto e la vita. L’esistenza dell’uomo lo interessa, ma esclude la cura e la redenzione. Il suo uomo è non di rado estraneo al mondo come agli umani, vive una sua personale essenza, dove la bellezza è realizzata nella vita stessa, senza essere mai illusa. I soggetti non hanno sguardo in comune, ognuno intento nel proprio atto, in un aurorale impulso, in un moto lungo o spezzato.

Nelle numerose Maternità, la madre e il bambino sono figure pienamente emotive e necessarie, eppure crude, senza grazia né lusinghe: il tempo è sempre quello dell’allattamento, perciò primitivo e inevitabile, la madre asseconda senza contemplazione, brutalisticamente, il dovere, il bambino tende al seno, semmai alla genitrice.

C’è una lirica sospesa in ogni soggetto. Il dramma compiuto dell’uomo.

Nelle Battaglie, i cavalli sono contorti, imbizzarriti e tragici. Come la marcia disperata del Cavallo di Torino di Béla Tarr, immenso e madido di polvere, fatica, vento e violini, essi corrono forte, inclinati ai versi del destino, si riempiono di lunghi silenzi, e sempre di vita e di morte. I cavalieri combattono a mani nude o con rudimentali e inoffensivi bastoncini, in una lotta perenne senza nessuna, definitiva, vittoria.

Il Mito è trattato esattamente per quello che è, un archetipo che dichiara la sostanza primordiale dell’animo umano.

Segni scattosi, figure totemiche e monche, occhi bui, manichini molli, vicinissimi eppure assenti, assorti, mai ridenti, fanno l’opera di Iannone. Il suo tratto rapido, a larghe pennellate di colore pieno, lo spazio di fondo negato da campate amplissime, astraggono le figure fino a sublimarne l’umanità, tragica e astante. La suprema verità delle anime è ricostituita dall’uso del colore che incide poderosamente le immagini. I blu, i vermigli, i gialli potenti moltiplicano ogni intenzione dell’opera, inferociscono gli uccelli e i cavalli, scaricano le tensioni volitive dei nudi, ammorbidiscono i volti sovraumani e accelerano le attese, le solitudini, le sottrazioni e le contrazioni. Nelle tele di Carmine Iannone non c’è avvilimento, non c’è disagio, né miseria, solo l’essere nella sua grandezza sintetica, talvolta sgomenta, talvolta malinconica, talvolta solo quieta.

Carmine Iannone nasce a Napoli nel 1942. Si forma nella città partenopea, frequentando il Magistero d’Arte e l’Accademia di Belle Arti con Maestri quali Emilio Notte, Carlo Striccoli, Alberto Chiancone. Espone in numerose città italiane e rassegne d’arte con personali e collettive. Vive ed opera a Sperone, Avellino.

In questi giorni, e fino al 31 luglio 2015, le sue opere sono in esposizione in una mostra personale presso TeodorArteGallery, via Genova 14, Catanzaro.


info: 3384051796

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