Nietzsche. Il disgusto per l'esistenza


Se non che, questo mondo non è un mondo arbitrariamente collocato dalla fantasia fra cielo e terra; è invece un mondo altrettanto reale e credibile quanto per i Greci credenti l'Olimpo con tutti i suoi abitanti. Il satiro come coreuta dionisiaco vive in una realtà religiosamente riconosciuta sotto la sanzione del mito e del culto. Che la tragedia si inizi con esso, che da esso parli la saggezza dionisiaca della tragedia, è per noi un fenomeno tanto singolare quanto il vedere la tragedia nascere dal coro. Forse conquisteremo un buon punto di partenza per le nostre riflessioni, se qui pongo l'affermazione che il satiro, l'essere naturale fittizio, sta all'uomo incivilito come la musica dionisiaca sta alla civiltà. Di questa, Richard Wagner dice che è dispersa dalla musica come la luce di una lampada è dispersa dal giorno. Io credo che allo stesso modo il greco incivilito si sentì annullato in presenza del coro dei satiri; ed è questo l'effetto più immediato della tragedia dionisiaca: stato e società, e in generale tutto quello che separa uomo da uomo, cedono di fronte ad uno strapotente senso d'unità che riconduce tutti al seno profondo della natura. Il conforto metafisico che qui accenno, che lascia in noi ogni vera tragedia, il conforto di sentire la vita, nonostante ogni mutare di fenomeni, come qualcosa di indistruttibilmente possente e gioioso, ci appare con corporea evidenza nel coro dei satiri, in quanto coro di esseri naturali che vivono per così dire indistruttibili dietro ogni civiltà, e che, ad onta di ogni nuovo mutamento delle generazioni e della storia dei popoli, rimangono eternamente gli stessi.

Con questo coro si consola l'anima profonda del greco, più delicato e più sensibile al dolore di ogni altro; con occhio acuto egli vede il terribile spirito di annientamento della cosiddetta storia universale e la crudeltà della natura ed è messo sul punto di desiderare un annientamento buddista della volontà. Lo salva l'arte, e per mezzo dell'arte la vita salva lui.


L'estasi dello stato dionisiaco, abolendo le abituali barriere e i confini della vita, ha un fattore letargico in sé per tutta la sua durata, fattore in cui va sommerso tutto quello che è stato individualmente vissuto nel passato, e questo abisso d'oblio scinde il mondo d'ogni giorno dalla realtà dionisiaca. Ma non appena la realtà giornaliera riaffiora alla coscienza, viene sentita con disgusto per quello che è inrealtà: una disposizione ascetica dell'animo a negare la volontà è il frutto di quella circostanza. In questo senso l'uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato un giorno uno sguardo lucido alla realtà delle cose, e ormai provano ripugnanza all azione; poiché la loro azione non può mutar nulla dell'eterna sostanza delle cose, sentono che è ridicolo o insultante che si chieda loro di rimettere a posto un mondo uscito dai cardini. La conoscenza uccide l'azione, all'azione soccorre il velo dell'illusione: questo è l'insegnamento di Amleto, e non la saggezza a buon mercato del sognatore, che per troppo riflettere, quasi per eccesso di possibilità, non giunge mai all'azione; non la riflessione - no! - ma la vera conoscenza, la vista dell'orribile verità soffoca ogni motivo che spinge all'azione, tanto in Amleto quanto nell'uomo dionisiaco. Allora il conforto non ha più presa; il desiderio si lancia di là da un mondo verso la morte, di là degli stessi dei, l'esistenza è negata e con questa anche il suo splendido rispecchiarsi nella vita degli dei o in un aldilà immortale. Nella consapevolezza della verità, ormai rivelata al suo sguardo, l'uomo non vede, ovunque si volga, che lo spavento o l'assurdo dell'esistenza, adesso comprende il senso simbolico del destino di Ofelia, capisce la saggezza del dio silvestre Sileno: tutto è per lui disgusto. 

Ed ecco che, in questo pericolo estremo della volontà, compare l'arte, la maga che viene per salvare e guarire; essa sola ha il potere di trasformare il disgusto per tutta la terribilità o l'assurdo dell'esistenza in rappresentazioni che consentono di vivere: queste rappresentazioni formano il sublime, considerato come addomesticamento artistico del terribile, e il comico come sfogo artistico dell'assurdo. Il coro dei satiri del ditirambo è il fatto liberatore dell'arte greca; è il mondo mediatore di compagni di Dioniso contro cui si spensero gli assalti di disperazione finora descritti.



Così il satiro come il pastore dell'idillio moderno sono entrambi figli di una nostalgia che si rivolge al primitivo e al naturale; ma con quale presa salda e intrepida il greco afferrò il suo uomo silvestre, e con quale timida mollezza invece l'uomo moderno si balocca con l'immagine carezzosa del delicato pastorello suonatore di flauto! La natura non ancora toccata dalla conoscenza, a cui non sono ancora state aperte le porte della civiltà, così la videro i Greci nel loro satiro, che perciò non ha niente in comune con la scimmia.

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