Lo spettatore è quasi/sempre peggio, in assoluto.


di Luigi Furno

Pochi giorni fa, al festival Benevento Cinema e Televisione, Tony Servillo, punzecchiato sul senso e il perché ancora di un festival, ha fatto una distinzione tra festival d'arte e festival passerella. La distinzione è superflua ormai. In questa passaggio di Memorie di un attore di Erland Josephson si capisce bene perché il marcio non è mai sopra ma sotto e che il pesce puzza pure dalla coda e non solo dalla testa.

"Molti anni fa, in un teatro di Londra, vidi Orson Welles fare il capitano Achab in una riduzione drammatica del Moby Dick di Melville. Ricordo una scena vuota. Tutta l'attrezzatura della nave era rappresentata da un unico pennone. Gente che oscillava al soffio del temporale, si aveva l'impressione che l'intero palcoscenico oscillasse, che il mare fosse sconvolto dalla tempesta, sto nella mia poltrona e il vento soffia impetuoso, la gente urla nel vento. Sedevamo aspettando l'entrata in scena di Orson Welles: non del capitano Achab ma di Orson Welles. L'equipaggio fu buttato da onde violente contro i bordi della nave. Scorgemmo una porticina sul fondo. Si aprì e una figura poderosa entrò in scena lentamente, a marcia indietro, con la schiena al pubblico. Esplose un applauso. 

L'uomo si girò lentamente. Non era Orson Welles. 

Ci prese uno strano imbarazzo. Eravamo stati scoperti. Non eravamo lì per godere di una grande opera ma per guardare una celebrità. Poi improvvisamente sentimmo Orson Welles balbettare, in un angolo della scena. Il capitano Achab era stato tutto il tempo dove doveva stare, fra il suo equipaggio. Orson Welles rese spettacolare la non spettacolarità? Gli era venuta un'idea simile mescolando piacere e insolenza? Se la rideva del nostro bisogno di genialità? Può sembrare strano ma, quasi ogni attore, ha bisogno di anonimità. Si parla sempre della nostra volontà di esibirci, mai del fatto che vogliamo anche scomparire". 

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