Per chi suona la Bottega? Irriflessioni semi-stupide sulla violenza e virulenza della musica

di Luigi Furno e Guido Bianchini


Rilassatevi: chiudete gli occhi, lasciate che sulla retina dell’anima si coaguli, impastato di memorie e fantasie archetipiche e demoniache, quell’arcaico ectoplasma gerarchico: la musica.

La musica, prostituta, femmina “dinosaura” estinta. Non ci sono parole umane per dare senso alla sua carne silente, eppure, ciarlatani di ogni risma ed epoca hanno intasato intere fogne di parole che scaricavano il loro tragico senso nel mare. La musica è affine al silenzio e non al sonoro, rumoristica umana. Servirebbe tutta quella sconquassata energia che la lirica letteraria mette nel commemorare un morto, quando da sempre la musica ha preferito il silenzio delle sirene al ciarliero Odisseo. Quando, le rugginose ruote della Storia si mettono a cigolare e fremere e il suono prende vita quando, da qualche parte, esplode un subitaneo geyser di ottimismo, cui si accompagna un brusco incremento di fragorosi decessi; allora, se figgerete gli orecchi miopi nei cieli obnubilati, sentirete – con enorme meraviglia – trascorrere foschi angeli di tempesta, librati su inchiostrati remeggi sonori, donde fuoriescono riccioluti ciuffi di note.

Per chi ama, cerca, medita l’aspra, irsuta gioia dell’avventura – non l’evasione del tutto compreso – la nostra società offre poco e male. Certo, si può andare in un aeroporto qualsiasi, d’inverno, un giorno di nuvole basse, e fare tutti i gesti atti o necessari ad una partenza; ma è cosa che sa troppo di recita e la totale passività del partente sa più di chirurgia plastica che di avventura.

E sarebbe da vergognarsi, in questa epoca sventurata, il non riconoscere i Mozart dai Mahler? Siamo cresciuti con i Fonzie e i Fonziarelli che ricottava al jukebox mentre facevano il segno della croce col pollice per dirci che era tutto Ok ! Laplace è morto di stitichezza, il suo culo è esploso come una bottiglia di champagne! Il suonatore produce rumori modesti, dilatazioni, distanti, a cui non manca la poetica aureola dell’eco. È un ornamento del paesaggio di rumori, e, in qualche sua forma distorta, la Costituzione lo tutela, come i vulcani, i pini innamorativi, l’edera sulle rovine. Usa vesti mimetiche sobriamente folkloristiche, che ne accentuano la nobile virilità; all’alba, furtivo si fa strada fra i pigri sogni dei dormienti. Tenera e stupefacente è la comunità di intenti tra musica e suonatore, che nel settimo giorno della creazione, nel gran riposo delle cose, pattuirono di far strage metodica di quando era stato messo assieme nel drammatico sesto giorno dei pesci, degli uccelli e dei cacciatori. Assistito da un’arcaica sapienza, il musicista si acquatta, si mimetizza, predispone capanni di finta innocenza, colloca vibrazioni – onde sonore – indifese, su cui la dolce melodia, veramente prudente, scruterà la campagna, ignara di essersi già appollaiata sulla morte.

Mi dicono che ancora, quantunque rari, si diano musicisti di questa sorta: che scelgono triangolo, archetto, ora, stagione e appostamento e, a seconda della tonalità prescelta; in mezzo agli animali umani d’ogni razza, il suo orecchio animerà lo strumento e trasceglierà quei trenta grammi d’onde vibrate da disgregare d’un colpo netto.


Mi dicono anche che le cose ora sono rottamazione: che non più Wagner laureati a Vienna frequentano i campi gelidi del mattino, ma gentucola carica di mitraglie e trombette, pronti a fare sterminio di tutto ciò che nacque alato e veloce. Notuncole sfracellano animaluzzi disorientati, resta solo il piacere di annientare, di rompere un essere vivo partendo dall’orecchio.

Orecchie mito-poietiche come quello di Dionisio a Siracusa. Grottesca grotta dove il Tiranno , corteggiato inutilmente persino da quel tronfio di Platone, imprigionava i suoi nemici, perché i loro lamenti fossero musica per il suo ego. Se ci passate ora, in piena decadenza post-moderna, troverete frotte di turisti a far da cerume, scolaresche con maestre esacerbate dalla menopausa conclamata che tengono a bada cuccioli d’uomo urlanti, bramosi di provare l’ebbrezza riecheggiante dell’eco. Rumore caotico, misto a parolacce e cori da stadio, perché se nasci a Castellamare, capisci le cose in fretta e il mondo ti appare dipinto sempre di giallo-blu e quello sarà l’eterno colore della tua musica vitale.

Giallo come il suono di Kandiski o Blu come quello di Giovanni Lindo Ferretti che in piena fase C. S. I. sentenziava: “Sotto la calma apparente un assordante frastuono dissonanze chiassose e confuse armonie affannate sconnesse leggere increspature agli orli ho dato al mio dolore la forma di parole abusate che mi prometto di non pronunciare mai più”. 

Che senso ha la parola? Ha senso ancora la parola? Silenzio!. Delirio mistico o onomatopee a mo’ di peti impuniti? Cos’è l’intestino se non una grande cassa armonica? C’è poi così grande differenza tra i suoni orali e quelli anali? Non sono forse vie diverse per quell’unica grande ragione del corpo?

Chiusi nelle nostre piccole botteghe domestiche, non facciamo altro che imparare ad accordare i nostri strumenti in attesa di una sonata a due mani o di un’orgia orchestrale in cui si sperimenta, pizzicando e percuotendo, l’armonia discorde, di eraclitea memoria, impressa nella carne che si fa carne, senza proferire nessun profetico Verbo.


Sacro spirito che ha sedotto anche Nietzsche quando per la prima volta ascoltò Wagner e gli sembrò di aver trovato il bastone della sua giovinezza. Aveva scoperto la maschera pentagrammata di Dioniso e cercò di indossarla tutta la vita. Come finì dovreste saperlo bene. Se non lo sapete chiedetelo Bene a Carmelo. Vi risponderà che è stato il suo giusto premio, il suo meritato Requiem.

State tranquilli, a voi non capiterà niente di tutto ciò. Non avete né la tempra dei tiranni, né l’estro degli artisti, né l’inquietudine dei filosofi. Siete corpi incollati alle sedie, pronti ad essere sbattuti , senza ritegno, prima dalle parole poi dalla musica, consapevoli del fatto che, al calar dell’invisibile sipario, non ci avrete comunque capito un cazzo!.

In fondo non è vostro compito e già tanto se riuscirete a battere le mani all’unisono, avrete imparato un primo approccio alla musica e potrete andarne fieri. Tornerete a casa portando con voi, a mo’ di bomboniera chic da matrimonio interminabile, la carezza francescana della Bottega, esclamando “Viva la Musica!”


I vostri cari vi guarderanno sospettosi e perplessi, etichettandovi come inverecondi reduci da una festa di piazza con Giggione e Donatello. Cercherete di giustificarvi, ma non sapendo bene in che posto anomalo vi siete trovati e quale intruglio lisergico vi hanno somministrato, sfoggerete uno sguardo più inebetito del solito e confesserete a voi stessi e al mondo che i Bum Bum dei musicanti di Bottega, vi hanno messo addosso tanta: “voglia e fa BUM BUM”.

Il testo riportato fu letto da Ursula Iannone con le note di Valerio Mola ai Concerti della Bottega di domenica 21 luglio 2013

Nessun commento:

Posta un commento