Costellazioni di pulviscoli temporali


di Luigi Furno

Herman Minkowski ha scritto: «D’ora innanzi lo spazio in sé e il tempo in sé sono condannati a dissolversi in nulla più che ombre, e solo una specie di congiunzione dei due conserverà una realtà indipendente: lo spaziotempo».

Agostino d’Ippona, il vescovo vissuto tra il IV e il V secolo che la Chiesa ha eletto a proprio dottore, aveva un atteggiamento quantomeno biunivoco con l’idea di Tempo: «Il tempo? Se non me lo chiedi so cos’è. Ma se me lo chiedi non lo so più». E il tempo è stata la parola chiave che ha dato il via alla nuova stagione teatrale di "Obiettivo T" promossa dalla Solot Compagnia Stabile di Benevento in collaborazione con l'Associazione culturale Motus. In scena lo spettacolo “Costellazioni”, opera del drammaturgo inglese Nick Payne. Due attori, Aurora Peres e Jacopo Venturiero, guidati dalla regia di Silvio Peroni per una produzione KHORA.teatro.

Con sguardo essenziale e nitido, Silvio Peroni dirige uno spettacolo che pone la sfida impossibile di portare alla luce una storia dal tempo non cronologico ma simultaneo. Un puzzle di frammenti sconvolti che promette di dare battaglia alla nostra concezione del tempo. Forse un’ossessione non secondaria nel testo di Payne, quella per il tempo, che appare ancora più spaventoso quando rischia di diventare tragicamente circoscritto. E pensare che ciò che per gli esseri umani rappresenta la più grande risorsa e la più grave condanna, a livello molecolare e atomico, è un concetto totalmente irrilevante.

Una storia quando viene raccontata, come accade in teatro, non può fare a meno di alcuni elementi costitutivi: lo spazio e il tempo. Ma si può dare una storia in cui lo spazio ma soprattutto il tempo vengono dilatati e sezionati tanto da apparire consenzienti al loro totale annullamento? Sembra impossibile, eppure è la sfida che ingaggia la drammaturgia di Nick Payne. Non è che sia impossibile liquidare l’elemento spaziale in teatro; il fondale nero con le quinte nere, che appiattiscono annullando l’idea di profondità della terza dimensione, sembra già un buon surrogato, quantomeno sul piano concettuale, di un luogo che non ha connotazioni spaziali precise. Queste coordinate che diradano nel nero (assenza di luce) servono alla sparizione del luogo, anche nei termini di non-luoghi, in cui si può istallare una storia che non abbia contatti territoriali e geografici con spazi concreti. Il nero in scena può osare molto di più però, può osare la costruzione di una storia in un luogo che non sia uno spazio, che sia una sospensione dello spazio. In fin dei conti è possibile raccontare una storia che si è svolta in nessun luogo. In teatro, più o meno, possiamo credere a qualcosa che assomigli a questo.

Ma il tempo? Si può narrare una storia dove non ci sia tempo? Non solo un riferimento temporale ad un periodo storico preciso ma la totale assenza di tempo. Nessun prima-ora-dopo. In una logica conseguenziale, che fa riferimento al tempo come elemento lineare, sembra inattuabile. Non è possibile costruire una storia se eliminiamo la Storia. Il tempo che abbiamo facoltà intellettuale di riconoscere come tale è simile all’irreversibilità dei processi termodinamici che fanno sì che gli esseri viventi nascono, invecchiano e muoiono. Non può succedere mai che prima moriamo, poi ringiovaniamo e infine nasciamo. Possiamo dire che il tempo che noi percepiamo più che un’illusione è una proprietà emergente, che compare sulla scena con tutta la sua realtà e la sua irreversibilità solo in presenza di grandi insiemi di “atomi di spazio”.

Nick Payne (giovanissimo talento del teatro inglese) sfida questa aporia, questa impossibilità, e prova a raccontare una storia in cui il tempo non tesse le sue trame e lo fa parte da un semplice rapporto di coppia per spiegare una teoria della fisica quantistica che sostiene l’esistenza d’infiniti universi: tutto quello che può accadere nella vita di un uomo e di una donna sta accadendo da molte parti in molti universi contemporaneamente. I due protagonisti in scena per “Costellazioni” vivono questa multitemporalità simultanea simulando risposte diverse a situazioni simile. Ne viene fuori un particolare gioco sui registri attoriali un po’ come Queneau ha giocato con le figure retoriche in “Esercizi di stile”. Non bastano le scene ripetute in registri differenti, per palesare meglio la sincronicità del tempo il racconto viene frantumato e i singoli elementi mescolati, cosicché quello che viene dopo viene prima e viceversa. Il risultato è un magma confuso che lo spettatore è costretto a ricostruire accorgendosi dell’impossibilità dell’impresa. Nick Payne ci costringe a fare i conti con la fallacità della nostra idea di tempo.

"Payne - spiega il regista Silvio Peroni - mostra ripetutamente, le possibilità e i diversi modi in cui i loro incontri sarebbero potuti andare a causa di fattori che vanno dalle relazioni precedenti alle parole e al tono di voce impiegati. Marianna e Orlando si incontrano, sono fidanzati, non sono fidanzati, fanno sesso, non fanno sesso, si perdono, si ritrovano, si separano e si incontrano di nuovo. Il testo si estende in un'indagine sul libero arbitrio e sul ruolo che il caso gioca nelle nostre vite".

“C'è una teoria della fisica quantistica” si legge nel foglio si sala “che sostiene che esista un numero infinito di universi: tutto quello che può accadere, accade da qualche altra parte e per ogni scelta che si prende, ci sono mille altri mondi in cui si è scelto in un modo differente. Nick Payne prende questa teoria e la applica a un rapporto di coppia”.

L’autore non è di certo il primo ad essere stato sedotto dal mondo della scienza in relazione ai sentimenti. Già Goethe ne ‘Le affinità elettive’ aveva parlato della chimica degli elementi: a seconda della loro combinazione ‘casuale’, spiegava l’autore, si possono generare nuovi composti in base ad una serie di affinità, come tra gli esseri umani: “Se si immerge un frammento di pietra calcarea nell’acido solforico diluito, questo, in un certo senso, afferra la calce e, insieme ad essa, si trasforma in gesso, mentre l’acido leggero si volatilizza per conto proprio. Qui è avvenuta una separazione, poi una nuova combinazione (…) Si osserva come una relazione venga preferita ad un’altra: si viene operando una vera e propria scelta”.

Ma il gioco che si inscena in “Costellazioni” è qualcosa di più, qui non si tratta di prendere una scelta in base a leggi chimiche ma di rappresentare tutte le possibilità di una relazione indipendentemente dalle scelte. In “Costellazione” eliminando il tempo si elimina la volontarietà della scelta.

Newton ha innalzato il tempo su un piedistallo in cui prima non c’era per glorificarlo. In Aristotele, per esempio, il “tempo” era solo un modo di misurare come si muovono le cose. Se non c’è nulla che si muove, non c’è tempo. Invece Newton, per costruire la sua fisica ha immaginato la possibilità di un immenso spazio vuoto dove il tempo passa anche se non c’è niente e non accade niente. Newton ha separato il tempo dagli accadimenti del mondo. Ha immaginato che il tempo passi di per sé, indipendente da tutto il resto. Come una commedia in cui ci sia il primo atto, il secondo atto, il terzo atto, ma sul palco non succede niente. Nick Payne invece, nella sua pièce “Costellazione”, in controtendenza col pensiero di Newton, crea un immenso spazio vuoto dove il tempo non corre e dove tutto accade simultaneamente.

Il tempo è una dimensione di cui si sono occupati tutti i fisici teorici che hanno cercano di unificare la relatività generale di Albert Einstein e la meccanica quantistica in un’unica teoria unitaria che viene definita gravità quantistica. Uno di loro, Carlo Rovelli, ha elaborato, insieme a Lee Smolin, una delle principali linee di questa teoria unitaria – nota come gravità quantistica a loop – con cui propone una soluzione drastica e spiazzante del problema del tempo.

«Il tempo semplicemente non esiste» spiega Rovelli. «Perché il concetto di tempo, dopo che abbiamo capito che dipende dalle cose che accadono, che si mescola con lo spazio, che è soggetto alle fluttuazioni quantistiche eccetera, diventa qualcosa che non c’entra più con la nostra intuizione semplice di tempo, e tutto sommato diventa un concetto inutile. La teoria descrive come si muovono le cose una rispetto all’altra, e non c’è davvero bisogno di parlare di “tempo”. Dimenticando il tempo tutto diventa più semplice. È più facile capire come funziona il mondo a livello fondamentale».

«Questo non significa che non ci sia il tempo nella nostra vita quotidiana. Significa solo che “tempo” non è un concetto utile quando si studiano le strutture più generali del mondo. A livello fondamentale non ci sono mele, ma non per questo spariscono le mele davanti a noi».

Eliminando il tempo dalla narrazione, Payne fa la stessa cosa. In “Costellazioni” la relazione di coppia viene analizzata nella sua struttura generale e non nella sua evenemenzialità temporale.

Questo discorso è stato ampiamente rielaborato in chiave letteraria ad esempio dal gruppo OuLiPo (acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero "officina di letteratura potenziale"). Di questo gruppo faceva parte anche Italo Calvino.

Nel racconto Ti con zero (Cosmicomiche) Calvino dedica una riflessione al tema del tempo. Nel racconto il tempo viene trattato con la concretezza con cui si vede lo spazio. Ogni secondo, ogni frazione di tempo è un universo. È abolito tutto il prima e tutto il dopo fissando così l’istante nel tentativo di scoprirne l’infinita ricchezza. Vivere il tempo come tempo, il secondo per quello che è, rappresenta un tentativo di sfuggire alla drammaticità del divenire. Quello che riusciamo a vivere nel secondo è sempre qualcosa di particolarmente intenso, che prescinde dall’aspettativa del futuro e dal ricordo del passato, finalmente liberato dalla continua presenza della memoria. Ti con zero contiene l’affermazione del valore assoluto di un singolo segmento del vissuto staccato da tutto il resto.

«Riassumendo: per fermarmi in t0 devo stabilire una configurazione oggettiva di t0; per stabilire una configurazione oggettiva di t0 devo spostarmi in t1; per spostarmi in t1 devo adottare una qualsiasi prospettiva soggettiva, quindi tanto vale che mi tenga la mia. Riassumendo ancora: per fermarmi nel tempo devo muovermi col tempo, per diventare oggettivo devo mantenermi soggettivo […] Ma il pericolo che corro è che il contenuto di t1, dell’istante-universo t1, sia talmente più ricco di t0, in emozioni e sorprese non so se trionfali o rovinose, che io sia tentato di dedicarmi tutto a t1, voltando le spalle a t0, dimenticandomi che sono passato a t1 solo per informarmi meglio su t0».

Calvino, e in maniera non dissimile Payne, non fa altro che seguire le concezioni teoriche di Einstein il quale si è accorto che in mezzo fra quello che chiamiamo “passato” e quello che chiamiamo “futuro” c’è qualcos’altro che prima nessuno aveva notato. Non c’è soltanto un effimero e istantaneo “presente”, c’è molto di più. Il motivo per cui questo “qualcos’altro” di solito non lo notiamo è che dura molto poco. Quanto dura questo “né passato né futuro” dipende dalla distanza. «Per esempio» spiega Rovelli, «se noi stiamo parlando nella stessa stanza, l’intervallo che non è né passato né passato né futuro è di qualche nanosecondo, cioè pochissimo, e non lo notiamo. Se stiamo telefonandoci da New York dura un millisecondo, ancora troppo poco per notarlo, ma se io sono sulla terra e il lettore di questo numero dell’“Espresso” è su Marte, allora il “né passato né futuro” dura un quarto d’ora, e questo sì che si nota. Per questo non si può avere una conversazione semplice fra Marte e la Terra: perché anche se io provo a rispondere non appena sento la tua domanda, tu comunque avrai la mia risposta dopo 15 minuti. Quei quindici minuti non sono né nel mio passato né nel mio futuro. Sono nella “zona intermedia”. Oggi qualunque studente di fisica dell’università impara tutto questo senza difficoltà. Ma le conseguenze sono importanti. Significa che non si può dire “in questo momento nell’universo le cose sono così e cosà”. Non esiste, in realtà un “questo momento”, nell’universo».

Se mai c’è stato un precursore della meccanica quantistica, questo può essere considerato Giordano Bruno. Già nel XVI secolo, infatti, il filosofo nolano teorizzava l’esistenza degli universi paralleli, una tesi ora avvalorata dalle teorie scientifiche più recenti. Perciò. Immaginiamo che la nostra vita sia solo una fra le infinite possibilità di combinazione; e che le nostre decisioni, prese o non prese, siano tante quante gli infiniti mondi paralleli che possono contenerle simultaneamente. Immaginiamo adesso di vedere tutte queste possibilità trasposte su un palco e otterremo così Costellazioni di Nick Payne, testo che unisce due dominî apparentemente distanti come la vita dell’uomo e l’universo, l’amore e la fisica quantistica.

Per Marianna (Aurora Peres) e Orlando (Jacopo Venturiero) l’equazione si risolve durante una grigliata: lì si conoscono, si attraggono a vicenda come due particelle di carica opposta e ha inizio così la loro storia. La scena è vuota, soltanto lo spazio sopra di loro, ovvero tante piccole lampadine corrispondenti ad altrettanti pianeti che si illuminano a ogni rapido cambio di scena (disegno luci Valerio Tiberi). Tra salti temporali, punti più oscuri e minacciosi che si dipanano nel tempo, molteplici variazioni sul tema di una stessa scena, si ricostruisce così solo una parte degli infiniti scenari possibili che possono scaturire da un incontro.

Non c’è niente da fare: la tentazione di separare il tempo dell’uomo da quello della natura è troppo forte. Eppure l’intuizione di “Costellazioni” dice che c’è un luogo e un momento in cui i due tempi si confondono: all’infinito. E non è forse questo il messaggio di una pagina dell’Uomo senza qualità di Robert Musil: «Aspettare a ogni momento già il successivo è soltanto un’abitudine; chiudi la diga e il tempo straripa come un lago. Le ore scorrono, è vero, ma sono più larghe che lunghe. Si fa sera, ma il tempo non è passato»?

Questo è il segno della sconfitta del pensiero sistematico di fronte alla materia polverulenta del reale dove le fasi temporali, piuttosto che irrigidirsi in schemi semplificatori, tendono, appunto, a confluire. Gli eventi del mondo, del nostro mondo reale, non sono organizzati in un grande spazio, e non cantano tutti in coro seguendo il “tempo” di un unico direttore d’orchestra. Questo, mi sembra, l’idea più originale del testo di Payne.

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