Al ritorno di un sole scialbo


2 ottobre 1949: l’alluvione che distrusse una città.

di Luigi Furno

“La pioggia cadde ed a’ fossati venne di lei ciò che la terra non sofferse; e come a rivi grandi si convenne, ver lo fiume real tanto veloce si ruinò, che nulla la ritenne”. (Dante Alighieri, Purgatorio, canto V).

“Mai nella Storia dell’antichissima città di Benevento si è registrata una pagina tanto triste, come quella che, oggi, nei primi giorni dell’autunno 1949, con mano tremante e con gli occhi ancora fissi nella visione apocalittica delle acque straripate dal fiume Calore, noi cronisti, siamo costretti a segnare. E il ricordo doloroso di questa sventura resterà scolpito con caratteri indelebili nel cure di tutti i figli del laborioso Sannio”. Così si esprimeva un emozionato Antonio Aulita che, suo malgrado, si trovava costretto a fare la cronaca di una tragedia.

Benevento non è nuova a fenomeni alluvionali; negli archivi si documentano numerose alluvioni a partire da IX secolo con eventi importanti negli anni 1501, 1504, 1597, 1707, 1708, 1808, 1809, 1811 e 1828.

Il fenomeno era tanto percepito, nella sua pericolosità, che papa Benedetto XIII, in occasione di un terremoto che funestò la città, si espresse con queste parole: “Non tema più Benevento i terremoti ma il congiungersi dei due fiumi Sabato e Calore”.


Tutto accade, come la Storia rivista in slow motion, in una notte del 1949 …è la notte del primo ottobre: la città e quasi deserta; si ode solo lo scrosciare della pioggia incessante e, di tanto in tanto, lo sciacquio delle ruote di qualche auto, che frettolosa attraversa la città.


Il Calore scorre imperturbabile nel suo letto, che contiene senza sforzi l’acqua amica e il ponte che attraversa la città è là, fermo, paziente per accogliere, come sempre, il mostro, che, minaccioso e rumoroso, avanza con furia infernale.

Passano i minuti; passano le ore…

Sono le cinque del mattino: la notte è trascorsa e, con le prime luci dell’alba, la pioggia e divenuta sottile. Il suono lontano, chiaro, intermittente della campana di qualche chiesetta, annunzia ai fedeli il nuovo giorno. 

Ma – ahimè! – quale questa volta sarà l’eco che risponderà a questo suono?

Le piogge torrenziali di questi giorni hanno ingrossato i fiumi della regione, il cui massimo esponente è il Calore che bagna principalmente la nostra città. E l’acqua nel tratto percorso ha già coperto e sorpassato il letto normale e minaccia di straripare.

Anche il Sabato è diventato impetuoso, e tanto da destare serie preoccupazioni agli abitanti delle sue rive.

Sono esattamente le 5,30. È il cataclisma. È la furia infernale delle acque che si è accanita e non perdona. La parte bassa della città, verso il nuovo Rione Libertà, all’altezza del campo sportivo, è già allagata e l’acqua aumenta.

Il fiume Sabato ha assunto proporzioni spaventose: una immensa pianura di acque minacciose si osserva con raccapriccio; gli archi del ponte S. Maria degli Angeli sono letteralmente coperti e la corrente impetuosa preme su tutta la murata, imprimendo ad esso un ben percettibile tremore.

L’acqua ancora aumenta. Dall’altro lato della città, verso la zona industriale, la tragedia si è svolta fulminea. L’acqua ha superato ogni limite prevedibile: ha coperto totalmente il letto, ha superato gli argini e furiosamente si riversa in tutta la parte bassa della città.

Il Ponte Vanvitelli è per oltre la metà coperto dalle acque. Il Viale della ferrovia è divenuto un enorme canale, nel quale l’acqua turbinosa tutto sconvolge e travolge, coprendo col suo volume case, industrie e negozi sino ad un livello di circa sette metri di altezza. È stato calcolato che la velocità delle acque ha raggiunto la spaventosa media di circa ottanta chilometri orari.


La grave notizia si è sparsa rapida in tutta la città: una folla enorme, mai vista, assiepa la strada che sovrasta il ponte. Scene commoventi, episodi di pianto si svolgono ovunque: tutti pensano alla triste sorte degli abitanti della parte bassa. Di lontano questa gente chiede aiuto, ma vanamente, agitando le braccia, sventolando fazzoletti e invocando la salvezza.

La tragedia continua e l’acqua nulla rispetta: tutto spazza, tutto travolge, tutto galleggia nella impetuosità della corrente che, ora, batte rabbiosa e preme sui muri dei fabbricati tentando di sgretolarli e di penetrare nelle fondamenta. E di fatto, di tanto in tanto, si ode il tonfo cupo, sordo di muri, di pilastri, di case in costruzioni che, come pianticelle, vengono sradicate e sommerse.

In un gruppetto di persone a noi vicine si ode il pianto di chi dispera, di chi vede con i propri occhi l’irreparabile, il baratro ove forse sono sprofondate le persone e gli affetti più cari.

Nel cielo uno spiraglio di sole fa capolino languidamente, illumina la terrificante visione e dà al triste scenario colori sinistri più vivaci. Intanto si studiano i modi per tentare di porre in salvo gli abitanti della zona allagata.

Le Autorità sono accorse e cooperano nella ricerca dei mezzi di salvataggio ma… tutto, per le entità del disastro, è difficile.

Si pensa, in extremis, di sacrificare il bel Ponte Vanvitelli nel tentativo di dare maggiore sfogo all’acqua che, sempre più impetuosa ha già abbattuto buona parte del muro di protezione. La portata del sacrificio è grave, ma, con l’animo in pena, la decisione è presa: tra qualche istante - dopo circa sei anni dalla distruzione causate dalla guerra, dai boati paurosi delle bombe che tutto spazzarono, seminando miseria e lutto - ancora nell’aria in questa mattina di ottobre si udrà, cupo e spaventevole, il boato del tritolo. Ancora una volta il ponte sul Calore, l’opera colossale dell’immortale Vanvitelli, sarà ridotta in macerie; cumuli di terriccio si accomuneranno su quelli già esistenti, però questa volta essi non staranno là a testimoniare la furia vandalica della guerra, ma resteranno a provare il sacrificio di una città per la salvezza dei propri figli.

Si scava… si preparano le buche, ove sarà collocato l’infernale composto chimico.


Sono circa le 9.
Si lavora ancora per minare il ponte; ma un attimo di sosta; l’opera solerte degli operai è improvvisamente interrotta da un contrordine: esperti dimostrano matematicamente che il sacrificio è inutile. 
L’acqua scende di livello! Ognuno spera nel miracolo. Pian piano il ponte riappare, sinché le acque si ritirano quasi completamente nel letto normale.
Man mano che l’acqua cala di livello, lo sventolio dei fazzoletti si fa sempre più intenso: è il segno della Salvezza...


…erano le prime ore del mattino, forse le sette. Era domenica e il suono delle campane del convento di S. Maria della Strada presso il Calore annunciava il far del giorno ai fedeli della Piana di S. Lorenzo maggiore e li richiamava alla preghiera della prima messa del mattino. 

Non lontano, in una casupola vicina al fiume ignara e tranquilla dormiva al pianterreno una mamma con quattro figli.

La tragedia era vicina, imminente, e nessuna forza al mondo avrebbe potuto evitarla. La furia delle acque non lasciava passare neppure un’esile voce umana che facesse destare quella madre.

Alle prime luci dell’alba, la povera mamma si svegliò. Capì all’istante il grave pericolo: non ci sarebbe stato via di scampo se il livello della piena non si fosse abbassato. In preda alla disperazione riuscì ad aprire un piccolo varco nella tettoia e, insieme ai quattro figli, salì su di essa: un solo momento di speranza.

Ma il livello dell’acqua saliva ancora. Poi la scena più straziante e pietosa: il pianto della madre con i figli stretti al collo; le grida di quanti, da lontano, impotenti a poterle dare un minimo aiuto, cercavano con i gesti di darle coraggio; il tentativo estremo della disperata madre di porre in salvo i suoi bambini cercando di affidarli ad alcuni rami di un vecchio albero che sovrastava il tetto della casupola pericolante; ai rami di quell’albero amico sotto il quale si raccoglieva la sua famiglia nelle lunghe giornate estive.


Infine l’ondata fatale, l’epilogo.
Invano la gente guardava. Non si videro più né mamma, né figli, né la casa. Neppure l’albero.
Quell’onda aveva trascinato tutto con sé. Aveva cancellato ogni cosa.
Ecco… quell’onda ha cancellato ogni cosa ma non il ricordo, no la memoria.















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