Nasofagia gogoliana - (#1 parte)



di Luigi Furno

( - piccola premessa - .furiaLAB dà inizio, con questo primo “Nasofagia gogoliana”, alla rubrica “nera”  Do not Kill me please. In parte già pubblicate su bMagazine.it, ma rivedute, corrette, ed ampliate, sono tutte storie di cronaca reale, veramente accadute e recuperate negli archivi. Su questo grumo di verità, interviene solo la lima della scrittura. La scrittura ha questa natura: è capace di piegare le cose ai suoi movimenti e, come divertissement, di giocare equivocamente con la luce. In queste storie si narrerà di una pulsione violenta e insana, ma profondamente umana, che ripetutamente ritorna a ricordarci quanto è fondo l’abisso del tragico. Saranno racconti del contrasto tra opposti. Ma non bisogna pensare, come è opinione generale sul pensiero di Pascal, che i contrasti nascano dal gioco di opinioni. Se una dialettica esiste, è quella della realtà stessa, che ha il suo fondamento nella creazione originaria alterata e nel mistero più abbagliante è più angusto, quello dell’unione delle nature di Gesù Cristo e del Demonio. Nelle storie, che comporranno il puzzle completo “Do not Kill me please”, tutto è indeciso. In esse si vive in uno sviamento perpetuo, giacché aggrapparsi a qualcosa che presupporrebbe che ci sia qualcosa di determinato da stringere, e dunque una separazione netta tra ombra e luce, tra senso e non senso, insomma tra felicità e sventura, viene puntualmente negate dai fatti reali. .furiaLAB vi augura buona lettura) 



Prologo alla seria Do not Kill me please 

Raccontare di una morte violenta è come incamminarsi con una vescica al piede, punge inevitabilmente. I mass-media sono come un ago ipodermico che si spacciano come lenitivo. Fingono di bucarti la vescica per rimetterti in cammino. Fagocitano la morte impiattandola come discorso lacrimoso. Ci si riduce alla meccanica dei fatti: all’impronta, alla saliva, al liquido seminale, ai plastici di certe trasmissioni, alle musichette malinconiche ecc… Allora la violenza con forza viene sciacquettata, traforata da tutti i lati, e disumanamente crolla a terra.
Quando la morte viene stampigliata in questo modo ti piega la schiena quasi a 90 gradi, come una randellata. Questo modo di vendere lacrime precotte per la gente, sembra inaugurare il congedo dell’umanità dalla posizione eretta. Un omicidio ha bisogno di essere visto con il cannocchiale, col telescopio, con gli anni luce di distanza emotiva; una lente di ingrandimento o un microscopio. Micronizzano irrimediabilmente la realtà, lacerano la crosta per rendere vero e visibile solo un pulviscolo altrimenti non si ha il tempo, sotto la pressa emotiva, di archetipizzare la lettura. I confronti sono scambiati col vicino sul pianerottolo, non ci si confronta con i miti fondativi. Niente Edipo, fuori moda Tieste.
Do Not kill me Please è un cannocchiale tele-microscopico che permette, con la giusta distanza emotiva, di ascoltare. Rappresentando e anti-spetticolarizzando, la pulsione violenta che batte alle radici del nostro cuore.


Premessa

Ci si incontra sempre con la verosimiglianza, tipo: un naso siliconato. Raramente con la vera alterità, tipo: un naso fuggito dal volto. Con la mimesis e la mimetica sarebbe troppo complicato. Troppa roba da digerire. A forza di virtualizzare e info-elettrizzare la realtà, quest’ultima, ha subito la sua ascesa virulenta verso un ascetismo monastico nel detto imperante “IO SONO VERO”. La pappardella melodrammatica del presenzialismo mediatico. La carta igienica è “vera” per l’essenzialità della sua funzione. L’esistenza è apodittica davanti alla verità, quindi la evita come fosse un siluro nucleare sganciato da un sommergibile russo in avaria psichiatrica. Poi tutto sta nella scelta, in questo caso virtuale, se dare o non dare un senso alla vita come lo si fa con la carta igienica. In definitiva per molti la vita è un lupo femmina, una Foxy Lady.

La rarità ha sempre il suo valore incalcolabile, è una vecchia espressione di Nietzsche. Prendete, per esempio, lo scrittore Tommaso Landolfi che nel suo racconto “La moglie di Gogol” fa succedere zigzaganti avventure al noto scrittore russo con la moglie per poi scoprire, solo quando decide di gettarla nel camino, che la moglie era una bambola gonfiabile. Esempio eccelso di estraneità. Ma adesso prendiamo il racconto “Il Naso” dello stesso Nikolaj Vasil'evič Gogol, frulliamolo nel mixer della fantasia e, pari pari, traiamone una storia vera. Più reale del reale, diceva Baudrillard, è iper-reale.



Racconto fantasticamente vero

21 Agosto 1978. “Il Mattino”, nella cronaca locale, riporta una notizia sconcertante. Un uomo di Montesarchio ha morso e ingoiato un naso ad un suo conoscente.

“Al mondo succedono le cose più inverosimili. Talvolta manca persino la minima ombra di verosimiglianza: improvvisamente quello stesso naso che era andato in giro con il grado di consigliere comunale e aveva provocato tanto rumore in città, come se niente fosse si trovò di nuovo al suo posto, ossia precisamente fra le due guance del Porcaro, ma era solo verosimiglianza, si trattava di una protesi in pvc. Questo accadde il 21 di agosto”.

È stato condannato a cinque anni di reclusione Luigi Lucarelli imputato di sfregio permanente ai danni di Vincenzo Porcaro a cui aveva, dapprima staccato con un morso, e poi divorato il naso. Il Lucarelli era anche imputato di duplice sequestro di persona nei confronti dello stesso Porcaro e di Nicolina Borselleca, nonché di detenzione di armi. Essendo cieco Luigi Lucarelli, soprannominato per questo “Civitto”, per portare a termine queste azioni criminose era ricorso all’aiuto del figlio Maurizio e di un altro pregiudicato, tale Alfonso Della Rocca.

“Il 22 agosto a Montesarchio accadde un avvenimento molto strano. La parrucchiera Giuseppina Paradiso, abitante alla contrada Montemauro, si svegliò abbastanza presto e sentì odore di panini caldi. Sollevandosi un poco sul letto, vide che suo marito, un signore abbastanza rispettabile a cui piaceva molto bere caffè, stava sfornando dei panini appena cotti”…

Strano, la signora Paradiso era morta ammazzata ed in giro si diceva, alimentando le voci proprio Vincenzo Porcaro, che fosse stato il marito ad ammazzarla.

«Oggi, Luigi, io non prendo il caffè,» disse Giuseppina, «vorrei invece mangiare del pane caldo con la cipolla.»
«Che questa scema mangi pure il pane; per me è meglio,» pensò fra sé il consorte, «così resterà una porzione in più di caffè.»

E gettò un panino sul tavolo.

Per decenza Giuseppina si mise la vestaglia sopra la camicia da notte e, sedutosi a tavola, prese del sale, preparò due teste di cipolla, impugnò il coltello e, assunta un'espressione ispirata, si accinse a tagliare il pane. Tagliato il pane a metà, gettò un'occhiata nel mezzo e, con suo stupore, vide qualcosa che biancheggiava. Giuseppina la sfrugacchiò cautamente con il coltello e la tastò con un dito:
«Solido?» disse fra sè, «cosa può essere?»

Ficcò dentro le dita e tirò fuori un naso… Giuseppina si senti cascare le braccia; cominciò a sfregarsi gli occhi e poi tastò di nuovo: un naso, proprio un naso! E per giunta, a quel che sembrava, anche in un certo senso conosciuto. Lo spavento si dipinse sulla faccia di Giuseppina". 

I Giudici del Tribunale di Benevento hanno inflisse a Maurizio Lucarelli una condanna a due anni di reclusione concedendogli la sospensione condizionale della pena, pertanto fu scarcerato, mentre il Della Rocca ottenne la pena di tre anni ed otto mesi di reclusione.

«Dov'è che hai tagliato questo naso, specie di belva!» si mise a gridare con ira. «Mascalzone! Ubriacone! Andrò io stessa a denunciarti alla polizia. Specie di brigante! Già da tre persone l'avevo sentito dire che maltratti a tal punto i nasi degli altri che non si capisce come ancora si reggano.»
Ma Giuseppina era più morta che viva. S'era accorta che quel naso d'altri non era che del vicino Vincenzo Porcaro, al quale faceva la barba ogni mercoledì e ogni domenica.

«Fermati, Giuseppina!» disse il marito. «L'avvolgerò in un cencio e lo metterò in un angolo; ora stia là, poi lo porterò via».

«Non voglio neanche sentirne parlare! Che io permetta a un naso mozzato di restare con me nella stanza? Biscotto rinsecchito! Fannullone, farabutto! Che io mi metta a rispondere alla polizia per te?… Pasticcione, travicello sciocco! Fuori di qui! Fuori! Portalo dove ti pare! Che non ne senta nemmeno l'odore!»

Luigi Lucarelli detto “Civitto” stava lì come un morto. Pensava, pensava e non sapeva cosa pensare.
«Lo sa il diavolo com'è successo,» disse infine, grattandosi dietro l'orecchio. «Se ieri sono tornato ubriaco o no, non lo posso dire di certo. Ma da tutti i segni questo è un avvertimento inaudito, perché il pane è una cosa cotta al forno, mentre il naso non è affatto tale. Non ci capisco niente!…»

“Civitto” ammutolì. Il pensiero che i poliziotti trovassero in casa sua il naso e lo accusassero, lo fece piombare in un totale smarrimento. Finalmente tirò fuori gli abiti e gli stivali, si mise addosso tutta quella robaccia e, accompagnato dalle pesanti esortazioni di Giuseppina, avvolse il naso in un cencio e uscì in strada.

Voleva ficcarlo in un posto qualsiasi: dietro un paracarro, sotto un portone, oppure perderlo accidentalmente e poi svoltare subito in un vicolo. Ma, per disgrazia, gli capitò d'incontrare dei conoscenti che subito cominciarono con le domande: «Dove vai?» cosicchè Luigi Lucarelli non riusciva mai a cogliere il momento propizio. Un'altra volta l'aveva già lasciato cadere, quando una guardia ancor da lontano gliel'aveva indicato con l'alabarda esclamando: «Raccatta! Non vedi che hai lasciato cadere qualcosa?» E Luigi Lucarelli aveva dovuto raccogliere il naso e nasconderselo in tasca.

Decise di andare ai tre Ponte in contrada Sferracavallo: dove se ne sarebbe liberato.


Continua… 


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