Dalla carne alla cenere - (#2 parte)





( - piccola premessa - .furiaLAB dà inizio, con questo primo “Dalla carne alla cenere”, alla rubrica “nera”  Do not Kill me please. In parte già pubblicate su bMagazine.it, ma rivedute, corrette, ed ampliate, sono tutte storie di cronaca reale, veramente accadute e recuperate negli archivi. Su questo grumo di verità, interviene solo la lima della scrittura. La scrittura ha questa natura: è capace di piegare le cose ai suoi movimenti e, come divertissement, di giocare equivocamente con la luce. In queste storie si narrerà di una pulsione violenta e insana, ma profondamente umana, che ripetutamente ritorna a ricordarci quanto è fondo l’abisso del tragico. Saranno racconti del contrasto tra opposti. Ma non bisogna pensare, come è opinione generale sul pensiero di Pascal, che i contrasti nascano dal gioco di opinioni. Se una dialettica esiste, è quella della realtà stessa, che ha il suo fondamento nella creazione originaria alterata e nel mistero più abbagliante è più angusto, quello dell’unione delle nature di Gesù Cristo e del Demonio. Nelle storie, che comporranno il puzzle completo “Do not Kill me please”, tutto è indeciso. In esse si vive in uno sviamento perpetuo, giacché aggrapparsi a qualcosa che presupporrebbe che ci sia qualcosa di determinato da stringere, e dunque una separazione netta tra ombra e luce, tra senso e non senso, insomma tra felicità e sventura, viene puntualmente negate dai fatti reali. .furiaLAB vi augura buona lettura)


Montesarchio 20 febbraio 1958

“Stamane abbiamo lasciato Tufara sotto l’imperversare di una violentissima bufera di neve. Sono arrivati i cani segugio “Alfa” e “Alba”, fatti venire a posta da Firenze per i tre scoparsi. Non si sa quanto potranno fare sul luogo: tutto è ricoperto da uno spesso manto bianco. Un’aria greve, grigia; un ventaccio freddo che fa presagire la neve caduta poi, in abbondanza, nel pomeriggio. Intanto, a scrosci, viene giù anche la pioggia”.

La campagna aveva un’atmosfera che si intonava perfettamente alla penosa operazione in atto.

“I due cani, tenuti al guinzaglio dai loro addestratori, si sono fermati sull’aia: in silenzio. Non abbaiano, non latrano. Niente: hanno il muso rivolto verso l’alto e pare, quasi, non annusare ma cercare un’ispirazione. Poi, di colpo, Alfa ha lanciato un guaito lungo, come un doloroso grido. Ha risposto con la stessa tonalità Alba, l’altro cane. Non c’è altro da fare che attendere e seguire i cani, i quali puntano ora qui, ora lì sull’aia. Sono indecisi: vanno in giro, tutto intorno, a fiutare ogni cosa. Poi, di colpo, prendono una direzione, sulla sinistra della casa, guardandola, dove si trova un profondo pozzo. E tutti sono dietro a seguirli. Cinquanta metri, settanta, cento… ecco, dove c’è un fossato profondo circa sei metri.

I cani annusano e abbaiano. Girano come forsennati, fanno per scendere e risalire. I Carabinieri fanno il resto. Nel fossato, semicoperto dalle foglie marcite, da arbusti e da terra, ci sta un rastrello. Sul rastrello delle grosse macchie di sangue. Ci sono dei piccoli frammenti di ossa.

Tutto è stato repertato e sarà esaminato dalla Scientifica. Poi, i due cani hanno continuato nelle ricerche. Cambiando totalmente direzione, si sono portati sulla destra della casa, a duecento metri: anche qui qualche cosa è stato rinvenuto: un pantalone. È stato accertato che si tratta del pantalone di Francesco Izzo, il figlio di Agostino scomparso.

Volendo dar seguito a una voce che gira in paese pare che i cadaveri dei tre, dopo essere stati nascosti per un certo periodo, siano stati cremati. In effetti molti paesani affermano di aver visto, in alcuni giorni di questo mese, un fumo denso e nerastro uscire dalla casa della famiglia Izzo. Un grosso ramo di albero bruciacchiato fa bella mostra di sé sull’aia della casa.

I due fermati, e specialmente il vecchio, sono due duri, testardi contadini. Il che equivale a dire che sono astuti e caparbi. Tentate di interrogarli e come anguille sfuggono. “Non lo so…”. “Non ricordo…”. “Stongo int’e mani voste…”. Queste le risposte a qualsiasi domanda. E può andare anche peggio, quando diventano risposte ancora più laconiche: “Sì”. “No”. Una stretta di spalle… un inferno. Un interrogatorio, in queste condizioni, è impossibile: “Riconosci questo calzone?” “No”; “È di tuo figlio Francesco?”, “Non ricordo”; “Come non ricordi? L’altra volta dicesti di sì”. “Forse, non me lo ricordo…”. Duro, testardo. Quando si vede a mal partito, Agostino, diventa muto. Del resto i due sono sempre muti: se li si mette insieme in cella restano ore ed ore senza scambiare una parola”.
In tutta questa tragica storia, purtroppo, niente sembra che si possa escludere con animo leggero. Anche la possibilità della distruzione di un cadavere deve essere tenuta presente. Come si può distruggere un cadavere? Il sistema meno difficile è quello della cremazione.

In quei giorni si parlò ripetutamente dei bidoni di bitume che si trovano dietro la casa. Agostino Izzo affermava di aver bruciato della legna in uno dei bidoni al fine di scioglierne i residui di catrame e ripulire così il recipiente nel quale aveva intenzione di conservare il grano. Ma, si scoprì che nei bidoni non c’erano solamente dei residui, ma una notevole quantità di bitume.

Agostino Izzo andò, molto tempo fa, in Germania; c’è stato con i fascisti come lavoratore. Ha davvero imparato, lassù, come cremare un cadavere o come, insomma, distruggerlo? È probabile, lavorò in un forno crematorio. In Germania conobbe una donna – tale Mata Knappel – con la quale entrò in rapporti di tale intimità che ne ebbe anche un figlio. Questa donna gli ha scritto per un lungo tempo.



Nella famiglia Izzo i rapporti erano tesi: i motivi erano di interesse. Il giovane Francesco, dopo il matrimonio si era recato ad abitare nella casa del padre, in una stanza di recente costruita col denaro di tutta la famiglia. La cosa non andava troppo a genio all’altro figlio di Agostino, Carmine, che pretendeva lo stesso trattamento. Inoltre, Agostino sosteneva che suo figlio Francesco dovesse consegnare tutto il denaro che guadagnava dalla falegnameria, ma il giovane si opponeva perché riteneva che il denaro occorresse alla sua famiglia, quella che da poco si era creato e che era già in procinto di aumentare poiché la sposina era in stato interessante.

Questi fatti generavano frequenti liti tra padre e figlio, tra marito e moglie. Filomena, infatti, prendeva sempre le difese del figlio contro il marito Agostino. La sera prima della scomparsa, addirittura, Agostino, irato col figlio Francesco, si rifiutò di aprirgli la porta al suo ritorno e gli intimo di dormire all’aperto. Fu la moglie Filomena, che affacciatasi, calò a Francesco una corda in modo che il giovane poté arrampicarsi fino al balcone.

Una notte, molto tempo fa, scomparvero da un deposito dell’ANAS tre grossi fusti contenente bitume per la pavimentazione stradale. Questi tre fusti furono rinvenuti, e riconosciuti dall’addetto dell’ANAS, sul retro della casa di Agostino Izzo. I bidoni, diversamente da quanto diceva Agostino, erano pieni di bitume; quando furono rubati, una parte del bitume fu fatta cadere perché altrimenti sarebbero stati troppo pesanti da portare. Il quantitativo rimasto era più che sufficiente per l’operazione che Agostino doveva svolgere: distruggere i tre corpi assassinati.

Gettati nel bitume, dei tre cadaveri non è rimasto più nulla, solo il fumo ormai disfatto nel cielo e la cenere, come si dice, che è ritornata ad essere polvere.

“Ieri sera alle ventuno e venti, su una 1100, Agostino Izzo, scortato da due Carabinieri, ha lasciato Montesarchio diretto al Carcere di Benevento”.


23 febbraio 1968 Procida

“Muore nel carcere di Procida Agostino Izzo, condannato all’ergastolo, per un ulcera perforante che gli ha causato una emorragia interna. L’unico a visitarlo e a dargli una parola di fede è stato il reverendo don Giordano, cappellano delle carceri di Benevento. I due figli, Icilio e Carmine, sono nel Nord: Il primo è militare nell’Aeronautica, l’altro, Carmine, dopo aver espiato dieci anni di reclusione, ha trovato occupazione a Piacenza”.

Con un filo di voce rauca se ne va anche questa storia, storia che agogna un “perché?”, storia di un mondo antico, di un mondo altro, di un mondo che, nelle sue piaghe da vecchio, sanguina nettare infetto e che, con i suoi protagonisti e le sue psicologiche difficoltà da saper leggere, se ne va con noi all’altro mondo.


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