PORCO. - (#1 parte)












di Luigi Furno


( - piccola premessa - Porco. è un racconto proposto a puntate, a frammenti. In esso si presenta la fuga e la speranza del capitano Hoppiter, la bestialità di un porco e l’indecenza dell’io. In Porco. il pensiero è essiccato, demidollizzato. In esso, il “pensare” equivale a parlare senza sapere in che lingua si parli, quale retorica si usi, senza avere la più pallida idea del significato che la forma del suo linguaggio e della sua retorica sostituisce a quella su cui il “pensiero” vorrebbe decidere. Non ha forma. La poesia ha una forma; il romanzo ha una forma. Il Porco. è uno specchio che ci deforma. Il porco è un mistero che per noi può, in pieno giorno, apparire qualcosa che non sia giorno, qualcosa che in un’atmosfera di limpida luce rappresenti il brivido di terrore da cui il giorno è nato. Una bella follia: parlare. Grazie a questo, l’uomo danza su tutte le cose e al di sopra di esse. Buona lettura).



Capitano Hoppiter, eppure, nessuno lo vede. Ed è qui, invece, trivellato di colpi. La sua figura è la descrizione perfetta e la sperduta reticenza di tutti i mostri che ha intravisto. Ma non c’è, non c’è niente in verità. Falsità su falsità che si aggiungono come lucciole che trapuntano di lievi chiarori l’orizzonte. E questo sarebbe vero?

Ma neanche questo è vero.

Non c’è niente di vero in superficie. Non lo è il soggetto, il predicato, le arguzie delle coniugazioni verbali che uso… non lo sono neanche le minuzie dei pronomi, delle articolazioni, delle composizioni astratte. Non è vera questa storia, che è pura fantasia; e il sangue, che verserò e farò versare, è cinema – fabbricazioni,puntuali, di farneticazioni.
Quindi, metteteci tutta la cura e l’attenzione di cui disponete: non c’è il capitano Hoppiter, per riepilogare; non ci sono io; non ci sono altri farabutti con noi; non c’è questa porcilaia dove mi sono ficcato per sfuggire alla morte per mano di guerra; non c’è il maiale, che mi lecca e mi annusa, e che parla con me e a cui dico tutto questo; non ci sono gli altri porci che, sul finir della storia, farò liberare dal loro recinto per fare incetta della mia carne. Non c’è niente, tranne queste luci notturne che annebbiano intorno e rendono il visibile una lanugine liquida che evapora senza nemmeno il bisogno del calore.

Eppure Hoppiter c’è, è l’oscenità, morto…imbarazzato.

Sette colpi qui, e uno lì, nel punto infuocato dove scorre l’inafferrabile. Il suo sangue è rosso e umido… ed è strano, ma non è credibile che sia umano. Una corazza di metallo lanciata ad una velocità folle, con l’irrefrenabile desiderio di perforare la carne,frantumare le ossa del torace e fare del cuore uno spiedino. Eppure,  tutto questo è falso se non fate lo sforzo di vederlo senza immaginarlo. Di vedervelo non appena gli occhi smettono di respirare.

Hoppiter è unraggio di luce saturnale, ora, mentre la sua faccia mostra le devastazionidell’incorrere della morte; le vie d’accesso dal decadimento nella carne tagliata, perforata da una raffica di proiettili, fuori della carica vitale del contatto. Occhi smunti di vacca macellata… terrore oltre la linea, gotica, spasmodica, accattivata nella prassi della medaglia al valore.

Che valore ha una scritta rossa? Uno sciacquettio di risacca con la giacca graduata recapiterà al mondo intero la novella:  “Hoppiter è morto, per suo volere e per mano nemica”.
Addio capitano.
Non c’è, invece, è falso. La verità… non è vero, Hoppiter non c’è, ma smunge sangue affianco a me, con la sua faccia da cane. Il sangue percorre la traccia più agevole che il pavimento di questa porcilaia di montagna, dove abbiamo cercato rifugio, gli consente.
Perché scende?
Perché scende, e il sangue cerca il mare per acquietarsi nella tragedia di Narciso. Hoppiter - non potendo stringere l’immagine tormentosa è soave riflessa sullo specchio dell’acqua - vi getta è affoga il proprio sangue in un fossetto di terra e polvere e merda di porco.

E questa è la chiave di tutto.

Vorrei non vedere la falsità di queste labbra schiumanti rovesciate in fuori, dicono per difetto di nascita. Hoppiter sembra ridere come una persona. L’hanno ammazzato. Faccia di gente, faccia di cane – gli altri hanno deciso che fosse il demonio e andava trucidato. Non sono superstizioso, ma credo che il demonio lo fosse.

Hai rantolato prima di stecchirti – “Si snodano le viscere, si torcono. Ho fame. C’è un solo sogno che mi ha tenuto teso tutta la vita. Ero a bordo di una Ford Gran Torino, su per le curve del Bosforo, quando le mie emorroidi pendule volarono fuori dalla macchina e si avvolsero intorno ad uno dei pneumatici posteriori. Vizi, e certi vizi, quando ti abbandonano, ti sventano come le pallottole dum-dum”. E gli occhi di mucca, hanno smesso di posarsi sulle cose.


Continua…



Se ti è piaciuto, leggi qui la seconda parte.


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