Lettera ad un padre mai nato o dell’impietà filiale




Caro papà,

                   sono giunto in un posto che è come una otturazione ai denti, può frantumarsi in frammenti minimi ed essere deglutito durante la notte quando l’attenzione si placa. C’è tutta questa precarietà in azione. Rimpiango davvero di non essermi portato una coperta, con nient’altro che il soprabito non si dorme bene e si rischia di finire come il pollo della nonna, duro e assiderato. Sono ancora in pena per la mamma. Dov’è, che cosa l’è successo? Non ci sono suo nuove? Se dovessi ricevere sue notizie, ti prego, anzi di scongiuro, di qualsiasi natura esse siano, fammelo sapere immediatamente. 

Oggi sono stato sulle prime linee del fronte. Quello che fa veramente spavento è il silenzio nella voce di chi c’è finito dentro, per sbaglio in molti, a quel fronte. Mi sono venute in mente le fronde dei salici e di come tu me li raccontavi da ragazzo. Oggi sono tutti secchi i salici, bruciati dallo zolfo dalle radici. Sono scheletri amorfi nel buio della nebbia. Spesso mi fermo a pensare a quanto tempo ho perso ad allenare la vista, ad aguzzare lo sguardo, nella durezza fitta di questa nebbia; alla fine, ho compreso, che è la mente che mi si è annebbiata.

Ti ricordi il giorno che sono stato richiamato alle armi e sono partito per questa guerra interiore? Lì per lì, non ci eravamo compresi. Eri su di giri, forse ubriaco. Anche perché continuavi a favellare di ectoplasmi acefali in assenza di gravità che ti entravano su per l’orifizio anale annidandosi nelle cavità dell’intestino tenue; lì, dicevi, sono in grado di ambientare un set per una città lussureggiante fatta di cartone e foglia d’oro. Poi capii la verità guardando il tuo piccolo maiale nero, il ping-feng bicefalo che abita il paese dell’Acqua Magica. Ti si può spesso trovare ritto e vigile come una austera retta. Ma ogni retta, anche se retta via, dammi retta, fa parte di un sistema che non tollera la grazia ambigua delle fessure donde sporge il muschio, e quel che resta del sistema, il tuo odore, può ancora essere ricondotto alla perfetta macchina mentale che lo progettò. Cioè, la mia. 

Con precisione sembra impossibile confermare il momento in cui la tua totale stupidità divenne palese agli occhi di tutti. Anzi, sembra che una speciale forma di imprinting colpisca gli occhi di tutte le forme viventi che drammaticamente scelgono di posare il loro ingenuo sguardo su di te. Una sorta di stupidità contagiosa, virulenta, si dimena da te come un collasso cardiaco che lentamente spegne tutte le membra. Forse ho esagerato, ti ho descritto come un Luca Giurato, e tu la conosci la differenza tra un lama e il Dalai Lama, vero?

Un ultima cosa. Pinco Pallo, il nostro batuffolo di pelli di procione, caro papà, ha una pallina in bocca e ne vorrebbe un’altra da te. Credo di aver, con questo esposto non esposto, esaurito la lettura del tuo segno… manca la firma, quindi papa, o monachella bizzoca che sei, fatti in ornamento una coroncina di spire spinose, di quelle che a primavera fioriscono di bianco, per i giorni di passione e imbratta di inchiostro il mio futuro col tuo nome. Ciao papà.

  Luigi Furno

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